TOLKIEN: l'introspezione attraverso i luoghi Ph. D. Consuelo Quattrocchi e Prof. Claudio Mattia Serafin



CQ. Scegliamo di inaugurare le attività di questo Blog con un approfondimento

dedicato alla figura di Tolkien, filologo e scrittore inglese.

A farci conoscere meglio questo autore, attraverso l’analisi di aspetti anche poco

noti, sarà il prof. Claudio Mattia Serafin, insegnante di Diritto e cultura contemporanea

alla Luiss Guido Carli di Roma e scrittore di narrativa.

Dunque, Claudio, direi di descrivere brevemente la figura di Tolkien anche per

quelli che non lo conoscano benissimo.


CMS. Un caro saluto, Consuelo, e un ringraziamento per l’invito e per la

possibilità di poter interloquire con studiosi e appassionati; il presente è un anno

importante (2022), perché vi è l’opportunità di celebrare la nascita del grande Autore e

filologo britannico (1892).

Tolkien - John Ronald Reuel il suo nome di battesimo - è il cognome dell’autore,

ma è anche una formula che può suonare familiare alle orecchie di giovani o non più

giovani appassionati. Ebbene sì, Tolkien: tale cognome è sinonimo di un mondo, o

comunque di mondi ulteriori. Lo scrittore è nato a Bloemfontein, in Sudafrica, da

genitori inglesi; la sua vita professionale ruota attorno all’insegnamento, dal momento

che era Professore di Lingua e letteratura anglosassone all’Università di Oxford. È

scomparso nel 1973 in Inghilterra. Universalmente, era già noto alla fine del secolo

scorso come creatore di mitologie e Autore di narrativa fantastica, o fiabesca, ma

all’inizio degli anni Dieci del Duemila, il suo profilo è stato del tutto rivitalizzato dal

cinema. Inevitabile è pensare al ciclo della Terra di Mezzo, continente immaginario (o

comunque preistorico, nel senso che appartiene a momenti ormai dimenticati

dall’umanità), e in particolare a Il Signore degli Anelli (composto da La Compagnia

dell’Anello, Le due torri e Il ritorno del re) e a Lo Hobbit. In Italia, tutti i libri di J.R.R. Tolkien

sono disponibili grazie alle splendide edizioni Bompiani, con traduzioni tuttavia troppo

cangianti nel tempo. Prima facie, pensando a Lui o comunque a tutta la sua opera (oggi

nota con la formula di legendarium), vengono alla mente atmosfere nordiche, celtiche,

popolate da creature incantate o mostruose, tra Troll, Orchi e spiriti oscuri (appartenenti

alle forze del male), oppure a spiriti luminosi, quali gli Elfi, o ad altre tipologie di

manifestazioni, quali i Nani. E poi vi sono gli Uomini (ovverosia noi stessi, gli esseri

umani), oltre che la sua creazione più famosa, gli Hobbit, piccoli esseri dalla natura

pacifica e riservata, immersi nella cultura agreste e dediti ai solidi piaceri della vita

quotidiana.


CQ. A proposito delle “atmosfere” a cui hai fatto riferimento, credo che la

maggior parte di noi ne sia rimasta colpita. Tu pensi che le “atmosfere” e i “paesaggi”

abbiano per Tolkien un valore simbolico? Se sì di che tipo? Credi si possano fare dei

parallelismi anche con il mondo classico?


CMS. Senz’altro: natura e paesaggio fanno parte dell’ontologia di Tolkien: anzi,

dalle sue Lettere (pubblicate in Italia da Bompiani), si può desumere uno scarso interesse

per i contesti urbani.

Lui stesso dichiara che, infine, gli sarebbe piaciuto “tornare agli alberi”. A parte il

fatto che la sua Terra di Mezzo è disegnata con impressionante precisione topografica

(catene montuose, Nazioni, luoghi, cittadine, villaggi, caverne, antri, boschi più o meno

funesti), si comprende chiaramente che i luoghi sono protagonisti dei suoi romanzi.

Anzi, talvolta risulta facile non udire più alcun dialogo, alcun suono, se non quelli

bianchi della natura, durante la lettura dei suoi testi. In un certo senso, ritengo che sia il

modo dell’Autore di far intuire la presenza del divino, o del sacro, all’interno della Terra

di Mezzo (la quale ha una cosmogonia e una teologia molto precisa, in effetti). E a

questo proposito, per rispondere alla tua domanda, mi viene senz’altro alla mente il

modus della classicità di intendere la natura, finanche quella italica: lo stesso Virgilio ha

trasmesso la valenza “umbratile” delle sue descrizioni, della mistica innervata nella

campagna, ossia nella terra coltivata, eccetera.

Così ha fatto molti secoli dopo anche Tolkien, il quale nutriva scarsa simpatia per

tutto ciò che è industriale, artefatto, sconvolto nella sua interiorità o esteriorità, il che è

più che mai attuale.


CQ. Prendendo spunto da alcune cose che hai detto, ritengo interessante

soffermarci su un ultimo aspetto. Tu hai detto, a ragione, che Tolkien si “ispira” in

qualche modo a Virgilio e quindi, di riflesso, anche a Teocrito. In questi autori un

enorme rilievo è attribuito non solo alle “atmosfere” e ai “paesaggi” ma anche al viaggio

che ritroviamo nelle Talisie di Teocrito (il c.d. propemptikon) e nell’Eneide di Virgilio. In

Tolkien che significato assume il viaggio?


CMS. Ti ringrazio per questa illuminante domanda, che non a caso chiude la

nostra intervista nel migliore dei modi: il viaggio come fine, oppure come inizio.

Il viaggiare è attività fondamentale nella narrativa di Tolkien. Basti pensare che i

protagonisti, uniti da lealtà e amicizia (il gruppo è una Compagnia) per numerosi mesi

all’interno del romanzo Il Signore degli Anelli, viaggiano a piedi, attraversando da Ovest a

Est l’intero continente. È un’attività lunga, faticosa, e Tolkien non disdegna il dilungarsi

su tutte le amenità o gli orrori di uno spostamento caratterizzato da esiti ignoti. Sono

tutte questioni che, paradossalmente, noi conosciamo molto poco, essendo

antropologicamente diversi dalle razze medievaleggianti descritte dall’Autore. È pur vero

che gli Hobbit ci rassomigliano, nel loro essere moderni, signorotti di campagna poco

inclini alle avventure, alle disavventure, o peggio al pericolo e alla morte. In questo

senso, lo Hobbit Bilbo Baggins scaraventa se stesso fuori dalla porta di casa (al di là

dell’intervento dello Stregone Gandalf e di Thorin Scudodiquercia, Re sotto la

Montagna), proprio per ricordarsi di essere vivo e di provare esperienze che di lì a poco,

anche per ragioni di età, potrebbero venirgli precluse per sempre. Bilbo è elegante,

coraggioso, molto indipendente, arguto e simpatico; suo nipote Frodo, invece, è

un’anima limpida, innocente e sensibile, che subirà numerose ferite fisiopsichiche,

durante quella che Tolkien descrive come la Guerra dell’Anello. Gli Hobbit sono

testimoni di un grande cambiamento, ovverosia la fine delle Tre Ere principali della

storia del mondo, in cui i figli degli Dèi stanno abbandonando il continente per recarsi

altrove, in un luogo che è senz’altro sacro, o forse addirittura ultraterreno. Gli Elfi

comprendono che la sconfitta del grande male (a partire, in principio, da Morgoth, fino

ad arrivare a Sauron) corrisponderà anche alla loro fine: essi devono sparire dal mondo,

così come i Nani, più terragni e materialisti (ma dignitosi e solitari), per lasciare infine

tempi e luoghi agli Uomini e alle Donne della Terra di Mezzo. Sarà un’epoca (la cd.

Quarta Era) assai diversa, connotata da fallacia, mortalità, grande talento e immani

difficoltà e difetti storici, psicologici, sociali. Ma sarà comunque un’Era umana; pertanto

si potrebbe ipotizzare che Tolkien avesse pronosticato il nostro arrivo. In definitiva, mi

sentirei di affermare che il vero viaggio è anche transizione, specie da una precedente

situazione a un’altra del tutto distinta, nuova, sicuramente foriera di speranza, ma

inconoscibile nei suoi sviluppi completi.

Grazie e un caro saluto a tutti i nostri lettori, o, per meglio dire: buon viaggio.

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